Fango Rosso

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Fango Rosso

Fango Rosso

titolo originale:

Fango Rosso

regia di:

cast:

Mattia Mullanu, Damiano Vacca, Ezio Diana

produttore:

produzione:

paese:

Italia

anno:

2019

durata:

56'

formato:

colore

status:

Pronto (23/10/2019)

premi e festival:

Il fango rosso è il residuo tossico provocato dall’estrazione mineraria. Ricopre le colline del Sulcis, in Sardegna, terra in cui la stupefacente bellezza del paesaggio si scontra con una storia di promesse mancate: il progresso come un miraggio, la politica come un inganno.
Damiano e Mattia trascorrono i loro pomeriggi all’ombra delle rovine minerarie. Hanno poco più di trent’anni ma, quando vagano per i sentieri di campagna, quei capelli sollevati dal vento li fan sembrare due adolescenti. Si arrampicano su muri pericolanti, si nascondono negli anfratti bui, accendono le loro torce alla ricerca di non si sa quale tesoro. Liberi, come due avventurieri in una terra dormiente. All’ora del crepuscolo si siedono e accendono una sigaretta, mentre la notte scende sui fumaioli che svettano sulla riva del mare.
Fango rosso è un viaggio intimo nella decadenza della colonizzazione industriale. Da un paesaggio desolato, tuttavia, sembra emergere una nuova e stravagante bellezza.

NOTE DI REGIA
Il desiderio di realizzare un film a partire dai paesaggi abbandonati del Sulcis mi ha sempre accompagnato, finché il progetto non ha preso vita nel corso degli studi a Barcellona all’interno del Master en Documental de Creación (Universitat Pompeu Fabra), dove ho sviluppato la prima stesura di Fango rosso.
In un primo momento ho immaginato un documentario corale, che chiamasse in causa personaggi e testimoni di diverse età e provenienza, per costruire un racconto a più voci sul territorio. Facendo ritorno in Sardegna però, mi sono reso conto che per tracciare un discorso filmico autentico avrei dovuto abbandonare completamente le convenzioni del genere e riavvicinare il mio sguardo ad un punto di vista generazionale.
Nello sviluppo del progetto, infatti, sono stati i miei coetanei, i miei amici, i punti di riferimento più importanti: sono loro le prime persone che incontravo al mio arrivo e le ultime che salutavo prima di ripartire. Le persone con cui avevo condiviso l’adolescenza erano diventate le stesse con le quali, dopo anni, nonostante il tempo trascorso lontano, rivivevo le vecchie avventure negli stessi luoghi abbandonati che da piccoli ci toglievano il fiato.
È così che ho deciso di coinvolgere i miei due amici, Damiano e Mattia, in questo progetto. A differenza di altri, loro avevano deciso di tornare a vivere in Sardegna. Trascorrendo il tempo con loro mi accorgevo di come si generasse un cortocircuito interessante nei discorsi che affrontavamo: dal gioco, emergeva una visione critica sulle problematiche del territorio, messe in discussione in maniera ironica ed efficace; dall’altra parte però, prendevano piede anche la disillusione, l’amarezza, il senso di abbandono nascosti dietro il sorriso beffardo.
Ho intuito che dietro i volti, i gesti e le parole dei miei amici si nascondesse il potenziale perraccontare quel film che avevo desiderato. Un film crepuscolare, un po’ western e un po’ chisciottesco, in cui loro sarebbero stati i protagonisti insieme al territorio. Ho voluto così proporre loro un viaggio avventuroso tra i paesaggi abbandonati del Sulcis: un movimento nello spazio che è anche un movimento nel tempo, per trasmettere un sentire su un luogo ferito e raccontare una forma di incontro con la propria terra d’origine.
Ho voluto lavorare con una troupe leggera, per dare quanta più libertà possibile ai miei amici protagonisti. In questo senso, ho voluto coinvolgere nella crew una direttrice della fotografia e un operatore con cui già avevo studiato e collaborato a Barcellona, a cui si è aggiunto un fonico sardo. Queste scelte hanno consentito di creare un senso di
intimità e affiatamento nel corso delle riprese.
Fin dal primo momento ho cercato di chiarire quale potesse essere il mio spazio come autore all’interno del film. Nel corso della lavorazione, dalla fase di scrittura al montaggio, ho sempre avvertito la necessità di dare vita ad una mia voce, il cui statuto è però variato nel corso del tempo. Ho deciso infine di scrivere e registrare una voce off in prima persona, con cui creare una triangolazione, insieme ai due protagonisti e al paesaggio; una voce che si esprime con un “noi” letterario, ispirato non soltanto all’oralità sarda ma anche alla letteratura regionale recente, come l'ultimo Sergio Atzeni, dove l’afflato epico non tradisce però la forte componente generazionale.