Il tempo che ci vuole

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Il tempo che ci vuole

Il tempo che ci vuole

Il tempo che ci vuole

titolo originale:

Il tempo che ci vuole

titolo internazionale:

The time it takes

sceneggiatura:

fotografia:

produzione:

Kavac, IBC Movie, OneArt, Les films du Worso, Rai Cinema, con il contributo del Ministero della Cultura, con il sostegno di Eurimages, con il sostegno di Roma Lazio Film Commission

vendite estere:

paese:

Italia/Francia

anno:

2024

durata:

110'

formato:

colore

uscito il:

26/09/2024

premi e festival:

Un padre e sua figlia abitano le stanze dell’infanzia: l’infanzia di lei e l’infanzia magica del racconto di Pinocchio, il film al quale sta lavorando lui. Il padre racconta alla figlia del suo lavoro e la ascolta, la osserva, le parla con serietà, compostezza, rispetto, come si parlerebbe non a un’adulta ma a una persona intera sì, la persona che è una bambina.
La bambina visita i set del padre, in cui pulsa la vita, il chiasso, l’umanità, il lavoro, l’affanno, l’infatuazione, la magia e il sudore. E lei si perde in quei mondi.
La figlia diventa una ragazza, l’incanto di quel limbo tra loro svanisce, la figlia lo sente, capisce che la rottura con l’infanzia è irreparabile. Lo capisce da come il padre la guarda. Pensa che non sarà mai alla sua altezza e precipita apposta per non esserlo davvero.
La figlia si droga e continua a tornare a casa cercando di fare finta di niente. Il padre all’inizio è disarmato, poi prende posizione e decide che non farà finta di niente. Smaschera la figlia, si affaccia su quell’abisso, con poche parole e molta presenza la porta via con sé, a Parigi.

NOTE DI REGIA:
Questo film è il racconto molto personale di momenti con mio padre rimasti vividi e intatti nella mia mente in un susseguirsi di faccia a faccia. Un racconto personale che credo però trovi la giusta distanza nel fatto che in mezzo al padre e alla figlia c’è sempre il cinema come passione, scelta di vita, modo di stare al mondo. Il cinema in mezzo alla vita è come una rete che sottende il racconto dei loro scambi, apre a una terza angolazione nella relazione tra i due, crea lo spazio dell’immaginazione. “Con il cinema” dice il padre “si può scappare. Con l’immaginazione.”
È una storia di trasmissione, anche, attraverso il cinema, di un modo di essere nella vita.
Le immagini partono dai ricordi e come i ricordi hanno una amplificazione di alcuni segni salienti e la cancellazione di altri. Immagini scarne, in cui non c’è quasi niente tranne loro due e in cui il segno che è presente ha sempre qualcosa di esagerato: se qualcosa è grande è molto grande, se è lontano è molto lontano, se c’è un raggio di luce è molto luminoso, se qualcosa è vicino è molto vicino.
Questo per quel che riguarda le immagini della vita. Astratte, precise e amplificate nelle loro
due presenze in mezzo all’assenza di tutto resto. Per quel che riguarda i set invece molta
pienezza, confusione, fretta, molta gente, molto chiasso e anche qui tutto amplificato, in questa eccitazione della vita collettiva che sono i set, qui quelli di Pinocchio, sempre creati in mezzo al nulla, in terreni brulli di campagna.
Dopo tanti anni passati a fare il suo stesso lavoro cercando di essere diversa da lui, ho voluto raccontare quanto ogni cosa che sono la devo a lui: ho voluto rendere omaggio a mio padre, al suo modo di fare cinema, al suo modo di essere, all’importanza che la sua opera e il suo impegno hanno avuto per il nostro cinema, all’importanza che la sua persona ha avuto per me. Forse, mi sono detta, forse ora sono abbastanza anziana ne sono capace, forse ora sarò all’altezza di questo racconto. Forse, ora, è arrivato il momento di dirgli grazie.