titolo originale:
A pugni chiusi
regia di:
cast:
Lou Castel
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
musica:
Daniele De Santis / MDF, Andrea Pesce, Cristiano De Fabritiis
produttore:
Giampietro Preziosa, Marco Simon Puccioni, Edvige Liotta
produzione:
Inthelfilm, con il contributo del Ministero della Cultura
paese:
Italia
anno:
2016
durata:
74'
formato:
colore
status:
Pronto (10/11/2016)
premi e festival:
La parabola artistica ed esistenziale di Lou Castel in Italia, il paese dove l'artista di origini svedesi si è formato come attore, diventando, nell'immaginario collettivo, il volto simbolo del cinema della contestazione di Bellocchio, Cavani, Samperi. Un vissuto “intrappolato” tra due personaggi emblematici entrambi diretti da Marco Bellocchio: l'Alessandro dell'esordio con I pugni in tasca (1965, film-manifesto di una generazione che stava per esplodere di lì a poco con il '68) e il Giovanni della rinascita con Gli occhi, la bocca (1982, l'inizio di una seconda carriera dopo la stagione della militanza politica degli anni '70).
Attraversando una Roma sospesa, a metà tra archeologia post-industriale e relitti pasoliniani, Castel si apre ad un lungo flusso di (in)coscienza sulla complessità e le contraddizioni del suo ruolo d'attore e, insieme, di militante politico, in un generoso atto d'amore verso quello che è il suo mestiere oggi, dove recitare non è mai un processo puramente meccanico, ma un modo di stare al mondo, un'occasione di vita, persino un gesto rivoluzionario, di continua affermazione del proprio essere. E dove ogni caduta, ogni crollo, è un’opportunità di rilancio e di apertura verso il nuovo, l’altro.
NOTE DI REGIA:
A pugni chiusi è il risultato di un corteggiamento cominciato nel 2008, subito dopo il mio primo incontro con Lou Castel. Un rapporto fatto di telefonate, viaggi a Parigi (dove Lou vive), scambi di mail, proposte, tentativi abortiti, nuove soluzioni, grandi rifiuti (suoi), tenaci ostinazioni (mie). Sino al punto in cui, un passo alla volta, ci siamo finalmente trovati “complici”, sperimentando un approccio nuovo e inaspettato al film che avevo in mente di fare: un metodo di “creazione diretta”, che ha trasformato lo spessore della recitazione da un recitato storico del passato a un recitato drammatico del presente; un linguaggio imprevedibile per entrambi, scaturito nell'urgenza dell'essere “ora” e “qui”.
Lou è un attore straordinario, aperto al set, alla vita, completamente in ascolto e dotato di una sensibilità unica. Ed è stato per tutte le riprese una garanzia di indipendenza e libertà assolute e fuori dagli schemi.
Cito una frase che mi ha scritto appena rientrato a Parigi, finito il film: “Nel mio ritorno a Roma è questo che ho espresso in quel percorso di finta finzione fuori campo e in campo. Tuffarsi nei profondi strati della materia con corpo e mente, come se fossi ubriaco. Cosa volevo di più? Ma c'è anche un film...”.
Il film, appunto. Più che un documento biografico, una performance d'attore e una dimostrazione sul campo della necessità di indipendenza e resistenza in campo culturale, politico, civile, ma anche una riflessione sulla natura umana del singolo, dalla quale mai si può prescindere, nel fallimento come nella conquista.