titolo originale:
Adavede
regia di:
cast:
Valeria Belardelli, Lorenzo Costa, Michela Hickocx
sceneggiatura:
fotografia:
Girolamo Capuano
montaggio:
scenografia:
costumi:
musica:
Dr. Peacock, Optimist Apocalypse
produttore:
produzione:
paese:
Italia
anno:
2017
durata:
20'
formato:
colore
status:
Pronto (17/07/2017)
premi e festival:
Tutto è immerso in un blu livido.
Il sole tenero di inizio estate fa la sua prima
comparsa assecondando il risveglio di una
natura silenziosa e immobile.
In una vallata, tra le rocce bianche e l’erba
scura, corpi nudi, rottami, detriti e suoni
distorti rendono lo scenario quasi
post-apocalittico ed invece è solo il risultato
di un rave avvenuto la sera precedente.
Nel bosco adiacente al campo, Clara, 24 anni,
ragazza della periferia romana, col labbro
segnato dal foro di un piercing che non vi è
più, dolente e disincantata e gli occhi
perennemente gonfi dal sonno, cammina con
il cellulare in mano, fin quando non si imbatte
in un cervo. Nella speranza di catturare
quell’incantevole immagine, la ragazza, punta
il proprio telefono contro l’animale come un
cacciatore che imbraccia il proprio fucile.
Cercando di catturare quella figura il cellulare
si spegne, lasciando solo il dubbio e un bel
ricordo.
Comincia così un viaggio all’interno di una
giornata, dal bosco alla periferia. La ricerca di
un caricabatterie, che spingerà, una ragazza a
confrontarsi con diversi personaggi
rimarcando il ricordo di un’incontro
rendendolo così, sempre più indelebile. Una
ricerca all’interno di una memoria corrotta.
Tutta la fatica di una giornata, dall’alba a
notte inoltrata. E li dietro, la periferia in
estate. Polverosa e indifferente.
Come calce rovente.
NOTE DI REGIA:
La costante ricerca di immagini insita
nell’uomo, spirituale o meno, è ciò che ci
distingue da qualunque altra forma di vita ed
è il tema principale di questo film, che indaga
con “sguardo d’apparenza”, la forma estetica
della realtà, conducendoci in una periferia in
cui le tracce di vita “primaria” e “primitiva”
dei suoi abitanti sono evidenti dovunque. Un
film sulla corruzione della memoria, legata sia
all’incontro che Clara ha avuto con il cervo,
perduto in un cellulare spento, sia con la
ricostruzione degli eventi passati per giungere
al caricabatterie dimenticato per via di alcol e
droghe.
La periferia, i suoi spazi, i suoi personaggi, la
sua storia, è uno dei territori privilegiati del
avventura esistenziale. L’immagine della
città, pur se mostruosa e dissonante, conserva
un’estrema organicità, costruendo inoltre una
la dimensione onirica e personale della
protagonista. Il décor architettonico, inerte,
immobile fra le case scrostate delle borgate,
l’arancio dei mattoncini delle case popolari,
entrambi coperti di graffiti, come ruderi
abbandonati di un’antichità perduta e
indefinita. La periferia diventa allora una città
fantasmatica, un fantasma urbano che non fa
che esaltare la natura di una stratificazione
urbanistica e sociale in cui sembra che non
esista alcuna materia solida, ma tutto si giochi
in un infinito gioco di rimandi segnici, di
linguaggi continuamente reinterpretati e
rivissuti. La città, frutto di un processo storico
e urbanistico preciso, si trasforma in uno
spazio teatrale in cui ha luogo il dramma della
modernità. Caratteristica del film è il
minimalismo visuale che conduce la
narrazione, attraverso il semplice apparire
delle cose, la superficie del mondo, e
l’abolizione dei dialoghi esplicativi. Tuttavia
l’opera non è solamente sguardo, ma anche
indagine sullo sguardo e critica della visione,
fino alla negazione del potere probatorio della
testimonianza oculare, fino a sostenere la
totale ambiguità del dato percepibile.