titolo originale:
Espero
regia di:
cast:
Alberto Baraghini, Aferdita Arapi, Mario Tuti, Savino Paparella
sceneggiatura:
Alessandro Quadretti, Federico Bellini
fotografia:
montaggio:
musica:
Antonio Gramentieri, Gianluca De Lorenzi
produttore:
produzione:
paese:
Italia
anno:
2015
durata:
86'
formato:
HD - colore
aspect ratio:
1.69:1
premi e festival:
Un uomo, Pietro, naufraga in mezzo ad un mare senza nome, in un tempo indeterminato, su una barca che non è sua e che lui sa a malapena portare; la sua unica compagnia è un gatto di nome Achab, ha poche cose da mangiare e poca acqua da bere. Il tempo scorre lento, tra i silenzi e l’assenza di qualsiasi altro essere umano; anche la radio di bordo trasmette solo fruscii e interferenze, interrotte una notte da una lontana voce femminile che canta una nenia. Pietro non scende mai dalla barca e non si bagna nelle acque del mare. Quando ormai la solitudine sembra ineluttabile, un mattino viene svegliato dall’urto con un un’altra imbarcazione sulla quale trova un uomo più vecchio di lui, moribondo, che raccoglie e porta con sè. Il rapporto tra i due è teso, segnato da silenzi e sospetti che aumentano quando il vecchio Giacomo raccoglie dal mare un ragazzo, Enea, che entra velocemente in conflitto con Pietro. Arriva così il momento in cui la violenza si palesa e rompe il precario equlibrio tra i tre uomini, fino alla fuga di Pietro che non può però evitare il ritorno e il confronto con Giacomo, con la propria coscienza.
NOTE DI REGIA:
Il mio primo lungometraggio a soggetto è nato dalla consapevolezza, ma anche
dalla volontà, di poter girare un film solo in determinate condizioni produttive,
segnate dal bassissimo budget e di conseguenza da pochissime location e un
numero limitato di attori. Da qui l’idea di scegliere il mare, con i suoi spazi infiniti ma
“intoccabile” perchè specchio che segna il confine con la morte, e il claustrofobico
perimetro di una barca. Si è definita poi la volontà di dar vita ad un protagonista in
cerca di verità sulla propria condizione, sul proprio passato, sulle proprie colpe.
Individuato in Savino Paparella (Pontedera Teatro, Teatro Metastasio) l’attore
principale, io e Federico Bellini abbiamo pensato ad un co-protagonista che fosse
coscienza e doppio del primo. Da qui, l’idea suggestiva e sicuramente destinata a
sollevare polemiche, di coinvolgere un non-attore che nel proprio vissuto
condensasse alcuni dei temi portanti del film, con cui si confronteranno i
personaggi: lui è l’ex militante neofascista Mario Tuti, condannato a due ergastoli e
ora 68enne detenuto in semi-libertà. Ho conosciuto Tuti nel 2011 intervistandolo per
il mio documentario “4 AGOSTO ’74. Italicus, la strage dimenticata” ed ero rimasto
fortemente colpito da quella personalità in cui convivevano, o hanno convissuto,
l’intelligenza, il fanatismo, la cultura e la violenza omicida. Così ha preso corpo
l’elemento narrativo, e non solo, che più apprezzo nel linguaggio cinematografico:
la permeabilità al reale, il set “aperto”, il vissuto che affianca, o addirittura
sostituisce, la recitazione.