Istmo

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Istmo

titolo originale:

Istmo

titolo internazionale:

Isthmus

regia di:

fotografia:

scenografia:

Anna Maria Cardillo

costumi:

Silvia Bergomi

musica:

Gianpio Notarangelo

produzione:

paese:

Italia

anno:

2019

durata:

100'

formato:

DCP - colore

uscito il:

20/05/2020

Istmo è la storia di Orlando, un traduttore che lavora da casa per un festival del cinema; traduce dallo spagnolo vecchi film latinoamericani. Nella sua vita parallela è un “influencer” in una quotidianità rituale e monotona, caratterizzata da tante piccole manie, emicranie e incubi notturni. La sua casa è un labirinto, una gabbia da cui non esce mai; il suo quotidiano: un sistema autosufficiente rispetto al mondo esterno. Orlando vive con Amad, il suo coinquilino, una figura enigmatica con cui Orlando è costantemente in conflitto e che si rivelerà portatore di un’inattesa identità. Si alternano nell’orbita del protagonista personaggi variopinti e misteriosi, pennellate del suo passato, figure di contrasto ed evocazioni di un futuro da scoprire. Solo Marina, una rider che gli consegna puntualmente del cibo a domicilio, proprio quando la sua vita si troverà a un bivio, riuscirà ad aprirgli nuovi orizzonti verso il “fuori”.
L’intero film è un inno alla vita e alla possibilità di esperirla a pieno, “vivendola da vicino”. Istmo, simbologia geografica che separa e unisce, un confine sottile con l’infinito e l’esistenza.

NOTE DI REGIA:
L'istmo è una sottile lingua di terra, bagnata su entrambi i lati da oceani, mari o laghi, che congiunge tra loro due territori più vasti di cui uno continentale e l'altro generalmente insulare o anch'esso continentale”, in meteorologia è “una striscia di alta pressione fra due cicloni”. È difficile, per un regista che è anche autore del soggetto e della sceneggiatura, concepire delle note di regia nella definizione più letterale, che non coinvolgano inevitabilmente la fase di scrittura, perché nel caso specifico, in essa si sviluppa parallelamente la messa in scena, come in un continuum creativo. Le definizioni geografiche dell’Istmo sono un paradigma non solo semantico/simbolico in relazione ai contenuti del film, ma anche in riferimento alla linea registica adottata. Da un punto di vista narrativo la simbologia dell’istmo è un locus dell’anima che separa e unisce, un confine sottile con l’infinito e l’esistenza, il percorso del protagonista, a metà strada tra la solitudine di una società che apparentemente ci unisce in una rete, ma che ci separa dalla realtà, dalla vita e dalle radici. Il ritrovamento delle radici come salvazione, linea tematica/progetto che porto avanti nella mia filmografia. L’istmo però è anche la passerella che conduce all’autenticità, alla consapevolezza dell’esistenza di spazi separati, verso i quali operare una scelta.
Queste linee di separazione concettuale sono visibili anche nel codice registico. Tutta la messa in scena è caratterizzata dalla fluidità dei carrelli in relazione ai personaggi esistenzialmente “risolti” (o in relazione al protagonista, solo nei momenti di cambiamento), in opposizione alla macchina a spalla, a volte convulsa, che racconta il labirintico mondo della casa e dell’anima di Orlando. Una macchina quasi mai statica su treppiedi. Una luce dall’alto nelle scene della sala da pranzo, quasi fosse la luce del sole che penetra in una caverna, una luce irraggiungibile, un movimento simbolico dal basso verso l’alto e viceversa. Nella scenografia e nei costumi, i colori vividi e netti (blu, rosso e verde), le fantasie caraibiche, i riferimenti al mondo esterno e plurale dei viaggi e delle scoperte, si oppongono all’ombra e alla malinconia delle mancanze di Orlando e alla sola, claustrofobica, unità di spazio. In opposizione alla claustrofobia della casa i riferimenti sonori sono sempre tutti orientati al mondo della natura, il sentore del mare, del vento, del lago che prendono vita in quasi tutti gli spazi della casa; l’acqua e il mare, in particolare, sono una costante nei dialoghi e nell’aspetto iconografico; sono visibili nei documentari diegetici sulle stelle marine, nelle citazioni agli squali e alle balene, nel colore blu atlantico delle pareti della stanza di Orlando. L’acqua più dell’aria, liquido amniotico, universo di mistero e di pericolo, tensione all’ignoto e all’imprevedibile. Tutto tende a sottolineare una carnalità e un desiderio di contatto che non si possono realizzare, una tensione verso il fuori implosa, il cui atto mancato si è cronicizzato, o per un passato difficile (a cui in modo dichiaratamente vago si fa riferimento) o per un andamento sociale, globale, che tende alla falsa idea della community, ma che separa e rende soli, in un vortice inconsapevole di individualismo e narcisismo. Le continue evocazioni alla lingua e alla cultura ispanica e ibero americana (alcuni personaggi, la lingua di traduzione, il cinema argentino), rappresentano un ulteriore contrasto tra l’essere in potenza di Orlando e il suo stato reale. I riferimenti al mondo linguistico e filologico (il mestiere di traduttore di Orlando), oltre a far parte della mia formazione, dei miei interessi e delle mie attività, rappresentano, per loro natura, un tramite, fortemente funzionale alla storia, tra Orlando e il mondo. La lingua, primordiale strumento di espressione e comunicazione del sé, diviene centrale perché in essa viene fuori la sensazione di un’assenza di relazione, l’anello mancante, la spia di una mancata esperienza, il punto di fragilità, ma anche un pungolo che conduce al fuori.