titolo originale:
Quel che resta di me
regia di:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
produzione:
paese:
Italia
anno:
2018
durata:
55'/70'
formato:
colore
status:
Pronto (01/09/2018)
Sono le donne - e le loro voci di sopravvissute - l'unico modo per
tentare di far luce sull'organizzazione terroristica che, negli ultimi
anni, ha provocato un numero di vittime senza precedenti, superiore
anche allo Stato Islamico.
Si sono dati il nome di Jama’at Ahl as-Sunnah lid-Da’wah wa’l-
Jihad, “Unione sunnita per l’espansione dell’Islam e della jihad”.
Il resto del mondo li conosce come Boko Haram, “L’educazione
occidentale è peccato”. Nato tra le paludi della foresta di Sambisa,
nella parte nord orientale della Nigeria, il gruppo, che ha giurato
fedeltà allo Stato Islamico e collabora con Al Qaida in Mali e
Algeria, combatte per fondare un califfato in Africa centrale.
Quel che resta di me è un racconto corale di donne e bambine
scappate dai campi di prigionia di Boko Haram dove sono state
portate “per servire Dio” e dove sono state costrette a scegliere tra
un matrimonio forzato, la riduzione in schiavitù o un’azione
kamikaze. Un racconto di violenze, fame, freddo e cecità raggiunta a
forza di piangere. Queste testimonianze restituiscono non solo un
quadro di atrocità ma permettono una ricostruzione, altrimenti
impossibile, delle dinamiche interne alla setta che fa capo ad
Aboubakar Shekau e che, in pochi mesi, a partire dall’estate del
2014, ha occupato un quinto del territorio nigeriano diventando, ad
oggi, una delle uniche formazioni jihadiste a poter vantare il
controllo su un territorio.
Prima della notte tra il 14 e il 15 aprile 2014, quando un commando
rapì 276 studentesse di un collegio nella cittadina di Chibok,
l’Occidente non sapeva cosa stesse accadendo in Nigeria. Con quel
rapimento, Boko Haram ha conquistato le prime pagine dei
quotidiani internazionali e la campagna mediatica
#bringbackourgirls è diventata in poco tempo virale. Si stima che
siano migliaia le donne rapite e, ancora oggi, tenute prigioniere nelle
paludi di Sambisa. Le poche che sono riuscite a scappare, hanno
ingrossato le fila degli sfollati, trovando rifugio in Ciad, in Camerun
o in Niger.
Quel che resta di me è un mosaico di storie di resilienza, di difficile
ricostruzione dell’identità e di faticoso reinserimento. Un racconto
che si sviluppa attraverso la lente narrativa di un progetto di salute
mentale che Coopi- Cooperazione internazionale porta avanti nella
regione di Diffa, città del Niger meridionale, al confine con lo Stato
di Borno. Secondo un report sui servizi di salute mentale in contesti
d’emergenza pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità,
le emergenze umanitarie raddoppiano la possibilità che le persone
vengano affette da disturbi mentali. Nella regione di Diffa, i
problemi di salute mentale sono la diretta conseguenza del conflitto
in corso con Boko Haram. Nonostante l’emergenza, però, il Niger
resta uno dei paesi con il più basso tasso di professionisti di salute
mentale nel mondo: solo quattro psichiatri per una popolazione di
oltre 20 milioni di persone.