titolo originale:
I babelici
regia di:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
musica:
produzione:
paese:
Italia
anno:
2018
durata:
63'
formato:
colore
status:
Pronto (02/10/2018)
premi e festival:
“I Babelici” sono artisti irregolari che hanno realizzato - fuori o ai confini
dell'ufficialità e del mercato dell'arte - un proprio universo immaginario.
Questa ricerca audio-visiva su uomini e luoghi "al margine”,
prevalentemente nel territorio emiliano-romagnolo, delinea una
geografia anarchica animata da misconosciuti autodidatti che hanno
consacrato decenni della loro vita a un'opera totale. Storie affascinanti e
inconsuete di "immaginazione e creatività abusive" affidate a uomini che
con le loro mani trasformano ferro, legno, cemento, rifiuti, scarti e oggetti
comuni in creazioni sospese tra l’art brut e un visionario artigianato
naive.
I protagonisti di questo racconto “babelico” sono tre figure che troviamo
ai margini dell’asse “Via Emilia”; il più giovane è Renato Mancini, detto
Mancio, scultore, o meglio saldatore, di meravigliose opere costruite con
materiali metallici di recupero o scarto. Metalmeccanico da lavoratore,
ma anche da artista, ha poco più di 60 anni e, da circa 40, crea figure
ispirate al mondo animale o a personaggi conosciuti e inventati,
assemblando viti, blocchi motore, candele, ruote, bulloni, serbatoi, ecc.;
il suo sguardo è capace di penetrare gli oggetti più informi per
riconoscere nel loro volume, o nell’intersecarsi di quello con altri volumi,
le figure più disparate: insetti, cani, pesci, strumenti musicali, volti, musi,
muse.
Poi c’è Emilio Padovani. L’arzillo 70enne è un “primordiale” scultore che
raccoglie sassi, o massi, di tutte le dimensioni per dare vita a opere, in
alcuni casi imponenti, che rappresentano le più svariate creature e,
soprattutto, dinosauri: Triceratopi, T-Rex, brontosauri, stegosauri e altri
inventati di sana pianta troneggiano nel grande giardino della sua casa
in campagna, tenuti insieme solo da alcuni perni di ferro a saldare i sassi
che lui stesso perfora con un trapano speciale. Tutti rigorosamente
costruiti con le pietre che scova abbandonate nei campi, nelle cave o
lungo i fiumi, in Italia e all’estero, e che trasporta faticosamente fino alla
propria casa.
Infine Elio Cangini, detto “Gianè”. In un podere adagiato sul fianco della
strada statale che attraversa l’Appennino, il 79enne ha costruito un
mondo immaginifico di impressionante densità, varietà e bellezza: un
tunnel composto da legni intrecciati, tutti raccolti lungo il fiume, che si
snoda per circa 70 metri e decorato al suo interno da decine di piccoli e
inusuali presepi; “pagliai” di cemento, sassi e scarti edilizi che ricordano
nella forma i tipici accumuli di legna e sterpi che si infiammano durante
la rituale Festa dei falò del suo paese. E poi un’antica e sotterranea
tomba gallica che lui ha decorato con un altarino, bottiglie e decine di
piccoli legni appesi al soffitto, quasi ad evocare un culto pagano e
meticcio. Infine, sia all’interno di un vecchio pollaio, sia in una antica
stalla all’interno del borgo vecchio, Cangini ha accumulato una quantità
impressionante di oggetti: dal quadro alla tazzina da caffè, dall’antico
utensile contadino al giocattolo, al libro, alla cianfrusaglia, tutto è
ammassato, appeso, buttato in ogni angolo e pertugio di spazi che
diventano bazar e specchio di visioni oniriche e intime ossessioni.