Jago into the white

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Jago into the white

titolo originale:

Jago into the white

sceneggiatura:

fotografia:

montaggio:

produttore:

produzione:

distribuzione:

vendite estere:

paese:

Italia

anno:

2023

durata:

94'

formato:

colore

status:

Pronto (09/11/2023)

premi e festival:

C’è una chiesa nel quartiere Sanità di Napoli, rimasta chiusa per quasi trent’anni e che un giorno del 2020 è stata rimessa in sesto e riaperta da un giovane scultore che ha scelto Napoli come luogo di lavoro.
Questo giovane scultore si chiama Jago, è già conosciuto nel mondo, ha un vasto seguito sui social dove molti lo definiscono il nuovo Michelangelo. E ha deciso di confrontarsi con un soggetto iconico proprio del grande artista toscano: la Pietà.
È un lavoro che affronterà da solo. Lui e il marmo. Nessun assistente. Nessun aiuto. Dall’inizio alla fine saranno solo lui e quel grande blocco di pietra millenaria, da modellare e ridurre alla forma che ha in testa. Un anno e mezzo nella vita e nel lavoro di questo ragazzo di poco più di trent’anni che ha deciso di coniugare due aspetti apparentemente contrastanti tra loro: la precisione monastica dell’artista, che ha bisogno di solitudine per creare. E l’entusiasmo febbrile dell’imprenditore, che per espandersi deve dedicare molta parte della propria vita a incontri, conferenze, strette di mano, viaggi.
Ecco perché entrare nella sua vita significa entrare in un vortice. In una dimensione di profondi contrasti. Silenzio da una parte, per divenire l’artista che tutti conoscono. Rumore e confusione dall’altra, per essere il comunicatore che tutti conoscono.
Ecco perché man mano che si compie quella danza attorno alla statua, e la musica continua a guidarci, ascoltiamo in sottofondo una serie di voci che si rincorrono, che si sovrappongono, che giocano tra loro, tutte voci che parlano di lui, di Jago, descrivendolo come amico, come partner, come artista, come imprenditore. Un concerto di definizioni che diventa alla fine un unico suono che si impasta nella musica. La polvere di marmo che si alza dalla statua si addensa sempre più nell’aria, diventa una sorta di patina biancastra che si frappone tra noi (che guardiamo) e lui (che lavora). E su quel bianco compare il titolo di testa: Jago, into the white.

Note di regia

Voglio mostrare attraverso questo film il grado di consapevolezza che ha Jago nei confronti del proprio essere artista. A dispetto dell’immagine romantica dell’artista tormentato e poco comunicativo, la prima impressione che si ha dalla frequentazione di Jago è che egli sia una persona consapevole che tutta passa dall’energia. Che vita e arte non devono necessariamente viaggiare separati. E che l’arte non è solo testimonianza di ciò che siamo, ma è soprattutto immagine di ciò che possiamo essere.
Quello che mi ha interessato maggiormente è stato il rapporto quasi agonistico che Jago ha con il marmo. Quella chiesa a un certo punto è diventato un ring. Il marmo il suo avversario. E lui era lì, da solo, ripresa dopo ripresa, a cercare di vincere la sua sfida.
Il percorso per arrivare alla statua diventa in questo senso molto più importante dell’opera. Perché quella forma – La pietà rivisitata - non avrebbe senso se prima non ci fosse stato quel sudore, quella fatica, se non avessimo visto con i nostri occhi quei momenti di esaltazione e quelle giornate di scoraggiamento. Tutta la bellezza che alla fine il pubblico vede è paragonabile alla luce che ci arriva, dopo l’esplosione della stella. A me interessava documentare il momento prima, quando la stella era viva, pulsante di possibilità e paura, di desiderio ed esitazione.
Quello che racconta Jago into the white è il rapporto di un uomo col proprio talento.