Song of All Ends ci conduce delicatamente nella vita quotidiana di una famiglia che vive nel campo profughi palestinese di Shatila a Beirut, sedici mesi dopo la terribile esplosione del porto. Con lenta determinazione, l'atmosfera si costruisce attraverso immagini intriganti, non ancora collegate tra loro, in un crudo bianco e nero: il volto di una bambina, un orsacchiotto, stracci che si agitano nella brezza, tetti cosparsi di macerie e teloni. L'acqua scorre ovunque e gli edifici scheletrici si stagliano su un cielo grigio e pieno di nuvole.
Qui c'è mistero e un senso di grande tristezza. La vita sembra sospesa; i piccoli compiti oggettivamente produttivi - esercizi calistenici, trasportare pneumatici, nutrire un piccolo gregge di galline - sembrano inutili, solo per riempire il tempo. In un attimo, in un breve lampo di colore, comprendiamo la straziante tragedia che ha paralizzato questa famiglia e iniziamo a condividere con loro il peso del dolore che offusca il cammino da percorrere.
( Nicholas Davies)