Prima della fine. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer

titolo originale:

Prima della fine. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer

regia di:

montaggio:

paese:

Italia

anno:

2024

formato:

colore

uscito il:

13/06/2024

premi e festival:

7 Giugno 1984. Enrico Berlinguer sta parlando a Padova dal palco di un importante comizio elettorale in vista delle imminenti elezioni europee. Suda, si fa sempre più pallido, incespica con le parole, sembra in evidente difficoltà. Nonostante il malore e la volontà contraria dei presenti che lo invitavano a fermarsi, decide di concludere il suo discorso.
Enrico Berlinguer entra in coma di lì a poco e viene trasportato d’urgenza in ospedale dove rimane in condizioni drammatiche per 4 giorni, fino alla morte che si consumò l’11 giugno dinanzi allo sconcerto incredulo di tutto un paese. Lo stesso Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, si precipitò al suo capezzale e riuscì ad entrare in stanza per vederlo e baciarlo sulla fronte poco prima del decesso. Poche ore dopo la morte di Berlinguer, Pertini si impose per trasportare la salma sull'aereo presidenziale, un unicum nella storia della Repubblica. «Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta», disse.
Il 13 giugno si consumò il funerale politico più imponente della storia della Repubblica.
Furono in due milioni a scendere in piazza per i suoi funerali, qualcosa di mai visto prima. Un abbraccio collettivo, un saluto commosso dei cittadini ad un uomo che aveva lottato apertamente per un ideale e lo aveva fatto sempre nei toni giusti e composti. Il funerale fu seguito da una cronaca in diretta di proporzioni eccezionali, tra autorità politiche provenienti da tutto il mondo, in un’onda emotiva che dilagò senza pari in tutta Italia.
In quell’ultimo saluto, in quella fine inattesa, non termina solo la vita di un politico amato da tutti, amici, compagni o avversari, ma anche il percorso di un intero partito, di un’epoca stessa e forse l’idea stessa di un Paese che sembra dopo quei giorni svanire per sempre.

Note di regia

È il mio film documentario più importante. Sotto ogni punto di vista. Un punto di arrivo, una resa dei conti, un gesto doveroso, necessario, personale, che recupera il dialogo con una storia che non ho vissuto direttamente eppure che ho, fin da piccolo, sentito sulla pelle attraverso i racconti dei miei nonni, di quella comunità di affetti e di valori, all’interno della quale sono cresciuto e che mi ha formato. Una storia che volevo fare mia, che volevo restituire alla mia generazione e a quelle future, che in qualche modo potesse essere nuovamente vissuta e conosciuta.
Ed è il mio lavoro documentario più importante perché mette insieme un percorso durato anni di ricerca, di studio, di costruzione di un linguaggio che potesse essere radicale, che potesse rappresentare la sintesi dei miei precedenti progetti e al contempo restituire in modo delicato e rispettoso la cronaca di sette giorni. Quei sette giorni che sento abbiano in qualche modo tracciato un solco tra un prima e un dopo, tra un tempo chiaro e un tempo confuso. Perché, in questo nebuloso presente, quei giorni, quella storia, quelle emozioni mi sembrano una traccia capace di indicare una possibile direzione, una possibile ricomposizione di un senso, di un’idea di paese, di una memoria che si fa collettiva e non solo privata.
Per questo ho ritenuto fin da subito che il film dovesse essere realizzato esclusivamente con materiale di repertorio, nonostante questa scelta comportasse un lavoro di anni che non sapevo dove mi avrebbe portato. Avrei potuto seguire una strada più convenzionale, più “leggibile” agli occhi di broadcaster e player, ma l’intenzione è sempre stata quella di realizzare un passo deciso verso una nuova fase del mio percorso, più in linea con quello che sentivo giusto e necessario per portare sullo schermo la storia che avrei voluto vedere e consegnare al pubblico. Nessun commento, nessuna lettura postuma, solo un’accurata e rinnovata ricostruzione narrativa di quei giorni, dal malore dal comizio di Padova, passando dai giorni in ospedale e alla camera ardente, fino all’imponente rito del funerale che ne celebrò il definitivo addio. In quel rito conclusivo, familiare e collettivo, individuale e di massa, intimo e mediatico, si consuma lo straziante addio al politico “più amato”, e al contempo, con quell’improvviso dolore di una famiglia come di un popolo, si somma la sensazione inconscia di lutti più profondi: della sinistra come di una certa politica, di un’idea di paese come di un’epoca che da quel giorno sembrò finita per sempre.
La ricostruzione del funerale di Enrico Berlinguer racconta quindi non solo la morte prematura di un uomo che ha segnato il suo tempo, ma anche e soprattutto il ritratto del popolo che lo ha amato e di un paese che da quel momento non è stato più lo stesso.