titolo originale:
Atalanta: una vita da Dea
titolo internazionale:
Atalanta. A life as a Goddess
regia di:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
musica:
produttore:
produzione:
Oki Doki Film, Officina della Comunicazione, Atalanta Bergamasca Calcio
distribuzione:
vendite estere:
paese:
Italia
anno:
2025
durata:
100'
formato:
colore
status:
Pronto (08/09/2025)
premi e festival:
Uno sguardo intenso e appassionato al mondo dell'Atalanta, la "regina delle provinciali" diventata "regina d'Europa", che si sviluppa nella settimana più importante e decisiva per la cosiddetta Dea, quella della finale di Coppa Italia contro la Juventus e dell'impossibile scontro con gli "invincibili" del Leverkusen, nella storica finale di Europa League di Dublino, per ripercorrere momenti storici e iconici del Club, come la presidenza Percassi, l'era Gasperini e l'inaugurazione del nuovo stadio. Un viaggio esclusivo e romantico, per chi ama il calcio, lo sport e la libertà di sognare.
Note di regia
L’idea del film nasce da un parallelismo (e da un sentimento): nell’aprile del 1988 l’Atalanta, pur militando in Serie B, arriva a giocarsi in casa, in uno stadio gremito, la semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe contro i belgi del Malines. Sempre a Bergamo, nel 2024, si gioca la semifinale di ritorno di Europa League contro il Marsiglia, dopo l’1-1 dell’andata. Trent’anni prima, pur nella delusione, ci si era accontentati della sconfitta, tanta era la soddisfazione, per una provinciale, di raggiungere quel traguardo: comunque un piccolo trofeo. Per diverse generazioni quella partita è rimasta iconica: che ricordi lo Stadio pieno, tutti in piedi, a sognare qualcosa che non sarebbe forse più tornato… e così si raccontava di una Atalanta che, da “regina delle provinciali”, per una stagione, aveva toccato il sogno di entrare nell’Olimpo dei grandi. Adesso, con un percorso totalmente diverso, altri interpreti e altre premesse, si poteva sconfiggere il “fantasma di Malines” e arrivare in Finale: ma sarebbe bastato? Davvero l’Atalanta, Bergamo, i tifosi, la Società si sarebbero accontentati di arrivare in Finale? Davvero raggiungere una finale era un “trofeo” sufficiente per essere felici? No. L’Atalanta ora doveva provarci, doveva tentare di vincere per non rimanere l’eterna “bella e incompiuta”. A maggior ragione che solo sette giorni prima aveva perso la terza finale di Coppa Italia in cinque anni. E seppur di fronte aveva gli imbattibili del Bayer Leverkusen, che non perdevano da 51 partite. L’Atalanta a quella finale ci arriva e vince, meritando, un trofeo tanto atteso quanto insperato. Quella settimana diventa davvero il paradigma di un percorso: si può partire anche dalle più grandi difficoltà e da momenti estremamente negativi - ne sono esempio l’arrivo di Percassi nel 2010 che rileva l’Atalanta in Serie B o di Gasperini nel 2016 che perde le prime partite alla guida della Dea - ma lo spirito dei bergamaschi negli anni rimane sempre lo stesso, ovvero quello di essere persone perbene, capaci di rimboccarsi le mani, impegnarsi, lavorare e, consapevoli dei propri mezzi, iniziare a guardare oltre ed essere quindi liberi di sognare. In grande. Eccolo finalmente il trofeo, vero, prestigioso, da toccare con mano e alzare al cielo. Frutto di un percorso, misto di impegno quotidiano e progettualità futura, lavoro costante e visione illuminata, come le due anime di una città che è conosciuta ovunque come “divisa” tra alta e bassa, ma che, nella Fede per l’Atalanta, si unisce. Perché Bergamo è l’Atalanta e l’Atalanta è Bergamo.