titolo originale:
Figlio
regia di:
cast:
Annika Strohm
sceneggiatura:
Giacomo Scoditti, Fabiano Lauciello, Giorgia Crescenzi
montaggio:
scenografia:
Aurora Lombardo
costumi:
Pablo Traversa
produttore:
produzione:
Don Chisciotte Films, Nichel Films
distribuzione:
vendite estere:
paese:
Italia
anno:
2025
durata:
8'22"
formato:
colore
status:
Pronto (01/10/2025)
premi e festival:
Una donna attraversa la città per raggiungere l'appartamento del figlio scomparso e recuperare il suo gatto, l'unico inquilino rimasto in casa. Cercando l'animale tra le stanze, la donna si trova a confrontarsi con le tracce di una vita svanita. Ma nel silenzio della casa, qualcosa di magico e inatteso potrebbe ancora trovare spazio.
NOTE DI REGIA:
“Figlio" è un film di esplorazione.
Volevo scrivere e girare una storia che fosse un’esplorazione del vuoto. Il vuoto, come tale nella nostra cultura, è la traccia di qualcosa che non c’è più, che è passato di lì per un attimo o che c’è stato per molto tempo, mettendo radici. Le case vuote lo rappresentano bene, questo tipo di vuoto, soprattutto quando dentro di esse c’è la presenza silenziosa di ciò che non c’è più. Le case vuote vivono in un limbo, in cui lo spazio e il tempo sono dettati dal mondo interiore di chi ci entra. La protagonista della mia storia entra in una casa vuota, per recuperare un gatto rimasto solo. Ma il silenzio circostante e la diffidenza dell’animale la inducono presto ad una ricerca più profonda, quella del legame invisibile con il figlio scomparso, ex inquilino della casa. Oggetto dell’esplorazione diventa il mondo intangibile, quello del lutto e della mancanza che si celano sotto alla superficie degli oggetti. La dimensione del realismo quotidiano cede infine il passo al realismo magico. La donna trova una racchetta da ping pong danneggiata che è un portale per una dimensione magica. Ho scelto di raccontare questa storia affidandomi molto all’espressività di Annika Strøhm, formidabile attrice norvegese, arrivata dal teatro. I tratti del film sono infatti nord-europei, lo sguardo freddo e cinico di Annika si scioglie piano ma mai del tutto. La camera la segue e vede ciò che vede lei senza aggiungere altro, aspettando che siano le sue intime e silenziose reazioni a parlare. L’attesa, il pedinamento e l’osservazione, quasi documentaristica, credo portino nel frame un realismo molto chiaro. Ma questa messa in scena asciutta, “cruda” ed essenziale prepara in realtà il campo per una scena finale totalmente surreale. Il capovolgimento narrativo e stilistico per me è fondamentale, perché c’entra con le modalità di attraversamento del vuoto. Passo dopo passo, la donna trova il suo modo di abitare il vuoto e, nel senso di perdita generale, anche il film matura una forma diversa.