titolo originale:
Boris il film
regia di:
cast:
Francesco Pannofino, Luca Amorosino, Valerio Aprea, Ninni Bruschetta, Paolo Calabresi, Antonio Catania, Carolina Crescentini, Massimo De Lorenzo, Carlo De Ruggieri, Alberto Di Stasio, Roberta Fiorentini, Corrado Guzzanti, Andrea Sartoretti, Pietro Sermonti, Alessandro Tiberi, Giorgio Tirabassi, Massimiliano Bruno, Eugenia Costantini, Claudio Gioè, Massimo Popolizio, Karin Proia, Thomas Trabacchi, Federico Pacifici, Ivan Urbinati, Adelmo Togliani, Paolo Bessegato, Lavinia Biagi, Monica Samassa, Vanessa Compagnucci, Barbara Folchitto, Rosanna Gentili, Vanni De Lucia, Gianpaolo Quarta, Giacomo Ciarrapico (II)
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
scenografia:
costumi:
musica:
produttore:
produzione:
distribuzione:
paese:
Italia
anno:
2010
durata:
108'
formato:
35mm - colore
uscito il:
01/04/2011
premi e festival:
In “BORIS IL FILM” il regista René Ferretti molla la brutta fiction tv che ha fatto per anni e tenta il grande salto: un film d'autore, per il cinema. Insomma, la libertà artistica dopo una carriera asservita al conservatorismo televisivo. Ma il mondo del cinema con i suoi snobismi può essere perfino peggio di quello della tv. Soprattutto per una troupe, quella di Ferretti, a dir poco estranea all’Arte con la “a” maiuscola.
Tra cinematografari snob, attrici nevrotiche, sceneggiatori modaioli, eroinomani, squali e improvvisati vari, “BORIS IL FILM” mette a nudo un mondo, quello del cinema italiano, che aspira a una nuova giovinezza e vive invece solo una perenne immaturità.
“Ci sono scene troppo brutte perfino per un regista televisivo: uno struggente rallenti sulla corsa nei prati di un giovanissimo Joseph Ratzinger che festeggia la scoperta di un vaccino è troppo anche per René Ferretti. E sì che di monnezza ne ha girata tanta, narcotizzanti apologie del presente, inquietanti biografie di santi e tante altre ancora (“Caprera”, “La bambina e il capitano”, “Gli amici tassinari”, “Libeccio”). E allora basta. Meglio l’insicurezza economica, meglio il cinema. Meglio tradire tutti - la Rete, la moglie in attesa di alimenti, la impresentabile storica troupe - e buttarsi nel cinema. Tanto più se la sfida è un copione libero, serio, forte, di denuncia, “alla Gomorra”. Sì, perché il cinema è più povero della TV (“dopo il cinema c’è la radio, dopo la radio c’è la morte”) ma ancora libero e poetico. Perfino in questo vessato paese. Purtroppo però, anche con un progetto “alla Gomorra”, bisogna fare i conti con la palude culturale che tutto ingloba. I committenti del salotto buono del cinema si rivelano, alla prova dei fatti, solo diversamente codardi. I nuovi collaboratori solo diversamente inaffidabili. E la presunta grandeur del cinema una rogna senza fine. Come per una condanna divina, nonostante i suoi lodevoli sforzi, René Ferretti si ritrova tra i piedi la stessa troupe scalcinata di sempre, gli stessi attori cani, gli stessi sceneggiatori inetti e perfino lo stesso borioso capetto d’un tempo. Con qualche colpo di fortuna e grazie alla sua proverbiale scaltrezza, un film decente sarebbe ancora arrangiabile. Forse anche ottimo. Ma incombe la maledizione metafisica di un paese chiamato Italia, che ama i simpatici e i cialtroni e non premia certe malinconiche seriosità. E la “Grande Commedia” incombe.