titolo originale:
I resti di Bisanzio
regia di:
cast:
Stefano De Santis, Salvatore Bello, Fulvio Rifuggio, Aldo Immacolato, Guido Casciaro, Claudio Riso, Romano Sambati, Mariangela Lia, Marcello Ciullo, Imperia Bartolomeo, Giancarlo Caprioli, Luigi Schirinzi
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
scenografia:
costumi:
musica:
produttore:
produzione:
paese:
Italia
anno:
2014
durata:
80'
formato:
HD/DCP - colore
aspect ratio:
16:9
premi e festival:
C non ha stimoli dal quotidiano e condivide questo malessere con due amici, S, bandista del paese, ed R, ex-benzinaio che vive apaticamente tra le mura della sua spoglia dimora. Da quest’ultimo, C preleva scolature di carburante per realizzare il suo sogno: bruciare il presente che non gli appartiene. C ha continue visioni incendiarie, effimere ed impotenti perché soltanto immaginate dalla sua mente ed affrescate nei suoi occhi. Intanto tre “turisti” approdati sulle rive adriatiche si perdono nel Capo di Leuca tra luoghi abbandonati dalla Storia, ruderi architettonici e macerie sociali mentre un terrorista culturale, chiuso in una vecchia torre costiera, imbastisce parole che forse nessuno leggerà.
NOTE DI REGIA:
“Un viaggio senza senso,
un’urgenza di vuoto
- da foga iconoclasta bizantina -
(nella storia e nella geografia dei personaggi),
un ciclico ritorno
ed un vagar per scene ed immagini come il perdersi
nei tasselli musivi calpestati d’Otranto”
C. M. Schirinzi
Premessa
La presa di coscienza della forza illusoria delle immagini religiose e la consequenziale rabbia iconoclasta che si scagliò contro di esse nell’antica Bisanzio, sono la premessa a tutto. I monaci scampati dalla furia approdarono in queste terre, scavarono eremi e vi dipinsero icone dando origine ad un’intima dimensione sacra: madonne private pronte a soddisfare ogni loro esigenza.
Iconoclastia è lotta feroce contro tutto ciò che è apparenza, inganno, miraggio, in altre parole, contro tutto ciò che è sinonimo di falsità.
Il film
Una terra condannata a lievi spostamenti tellurici, a guerre inventate, a fortificazioni inutili, a vani attracchi, a finti abbagli culturali: il film è un intimo ritratto del Basso Salento dedicato a chi è naufrago nella propria vita.
Non c’è storia ma azioni. La Storia è già stata e i personaggi sono rimasti fuori, esclusi a loro insaputa, non sappiamo se a loro danno o per loro fortuna (l’ultimo atto storico fu nei primi anni 90 quando l’Adriatico vomitò il grande sbarco albanese, lo stesso Adriatico che cinquecento anni prima portò i turchi a compiere l’iconoclastia umana ad Otranto).
Il protagonista - eremita senza tempo, contemporaneamente invasore ed invasato - inala l’ossigeno che solo le immagini incendiarie riescono a donargli: è un piromane visionario ed impotente…non riuscendo a creare, con occhi e mente distrugge.
Il film vuol ritrarre l’assenza d’identità di questo luogo, identità che oggi si cerca dannatamente di costruire senza tener conto del quotidiano spietato che si srotola sotto i nostri occhi lasciandoci in balìa del tempo che fugge, stranieri nella nostra stessa casa: accasciati dal pattume odierno, non ci curiamo del marcio che scorre come un fiume impazzito tra le rocce carsiche nascoste sotto la terra degli ulivi secolari.
Scontrarsi col dramma non vuol dire ‘raccontarlo’: è una continua ed estenuante battaglia che non dà tregua perché contro ogni forma di storia, contro il voler a tutti i costi dare un sol senso, incanalare in un’unica rotta. Il film non vuole essere consolatorio o anticonsolatorio ma documentare un caos d’affetti, un’implosione di sentimenti in grado di percuotere il contemporaneo con le sue stesse armi: la vita non si racconta ma si attraversa, a volte senza direzione poiché il reale non appartiene alla Storia – i ricordi sono immagini –, la Storia è appiccicata dopo, quando l’incendio ha ceduto il posto alla cenere. Se il reale è incendiario, è con il fuoco che bisogna catturarlo, con l’immagine già satura di secolare dramma.
...chiudere gli occhi e non ascoltar parole è un diritto di chiunque, un diritto di critica alla galoppante globalizzazione, ai catastrofici tentativi di omogeneità ed alle, ancor più gravi, urgenze di nuove identità.
“scaglio sassi al mare a frantumar riflessi annego gli occhi giù sino al fondo”
C. M. Schirinzi