vedi anche
titolo originale:
TIR
regia di:
cast:
Branko Zavrsan, Lucka Pockaj, Marijan Sestak
sceneggiatura:
Alberto Fasulo, Enrico Vecchi, Branko Zavrsan, Carlo Arciero
fotografia:
montaggio:
produttore:
Alberto Fasulo, Nadia Trevisan, Irena Markovic
produzione:
Nefertiti Film, Rai Cinema, con il contributo del Ministero della Cultura, Focus Media, con il sostegno di Croatian Audiovisual Centre, IDM Film Commission Südtirol, Film Commission Torino Piemonte, Friuli Venezia Giulia Film Commission, Film Commission Valle D'Aosta
distribuzione:
vendite estere:
paese:
Italia/Croazia
anno:
2013
durata:
90'
formato:
colore
uscito il:
27/02/2014
premi e festival:
Branko è un camionista croato che lavora per una ditta italiana.
Branko trascorre 25 giorni al mese su un camion percorrendo il “Corridoio 5” per poi fare ritorno a Spalato dove vive la propria famiglia.
Sopravvissuto a tre guerre mai davvero finite, da oltre 10 anni trasporta merci da un capo all’altro dell’Europa, attraversando un mondo fatto di autogrill, caselli, interporti, e chilometri e chilometri di asfalto, attraversando città, lingue, varietà sconfinate di paesaggi.
Un mondo apparentemente sempre uguale a se stesso, dove luoghi e ruoli appaiono definiti più da coordinate economiche che da fattori umani.
Eppure anche qui, come altrove, la vita è segnata da incontri imprevisti, originali, spiazzanti, capaci di scardinare le aspettative dei rapporti e svelarci l’umanità nascosta di questo universo.
NOTE DI REGIA
Ancor prima che un film su un camionista
questo è un film su un paradosso. Quello di un lavoro che ti
porta a vivere lontano dalle persone care per cui, in fondo, stai
lavorando. Il processo di scrittura è durato più di quattro anni.
Durante questo tempo ho alternato fasi di ricerca sul campo
ad altre in cui ci fermavamo a riflettere sul materiale raccolto,
in una continua tensione creativa fra elementi di finzione e di
documentario. Questo, mentre attorno a noi esplodeva una
crisi senza precedenti, che definire solamente economica,
ormai suona riduttivo se non addirittura sbagliato. Ma più
che fare un racconto sociologico m’interessava entrare sotto
la pelle del mio personaggio e riprenderlo in un momento
di crisi personale, in cui si vedesse obbligato a compiere una
scelta non solo pratica, ma anche etica ed esistenziale. In
questo senso, la mia ambizione è che il film possa essere letto
come una metafora della vita contemporanea e lo considererò
“riuscito”, solo nella misura in cui saprà parlare a tutti coloro
che vivono sulla propria pelle questo paradosso.