titolo originale:
Biagio
regia di:
cast:
Marcello Mazzarella, Vincenzo Albanese, Silvia Francese, Omar Noto, Doriana La Fauci, Santo D’Aleo, Renato Lenzi, Salvatore Schembari, Michelangelo Balistreri, Attilio Ferrara
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
scenografia:
costumi:
musica:
Marco Biscarini, Luca Leprotti
produttore:
produzione:
Arbash Società Cooperativa, con il contributo del Ministero della Cultura, con il sostegno di Regione Sicilia, Sicilia Film Commission
distribuzione:
vendite estere:
paese:
Italia
anno:
2014
durata:
90'
formato:
colore
uscito il:
20/01/2015
premi e festival:
Biagio Conte nasce a Palermo nel 1963 in una famiglia benestante. Da ragazzo vive negli agi e nella spensieratezza tipica di molti giovani della sua generazione cresciuti nell’opulenza della società consumista.
Quando Biagio ha vent’anni, Palermo è una città infernale. Il sangue degli innocenti (e dei colpevoli) scorre nelle strade come un fiume in piena, in una spirale di violenza che non sembra avere mai fine.
Le ingiustizie a cui assiste ogni giorno, il vuoto esistenziale, l’assenza di moralità, la mancanza di un qualsiasi rapporto con la natura, fanno precipitare Biagio in una crisi di coscienza sempre più acuta. Si chiude in se stesso, in preda a una forma estrema di malessere di cui non riesce ad afferrare il senso: Dio è lontano e la vita gli sembra futile.
Ma l’istinto della sopravvivenza alla fine ha il sopravvento. Abbandona tutto e tutti, dà via tutto ciò che possiede, e con i soli abiti che indossa, si lascia la città alle spalle e si rifugia nella natura. Per più di un anno vaga per i boschi e per le montagne della Sicilia vivendo da eremita, cibandosi di bacche e erbe e della carità della rara gente che incontra.
Poi, un giorno, conosce un pastore che gli affida il suo gregge e gli regala un cane, e così ritrova la libertà: la libertà dai bisogni materiali. Impara che si può vivere con niente, che la vera essenza della vita non è possedere ricchezze, non è accumulare e consumare beni, ma è vivere e gioire dei doni che la natura offre alle sue creature.
Nella solitudine più assoluta, nelle lunghe giornate passate a pascolare le pecore, nelle notti stellate, quando infuria la tempesta e quando spunta benefico il sole, Biagio impara a guardare verso il cielo e a dialogare con Dio. Il figlio del pastore gli regala il libro di Hermann Hesse sulla vita di San Francesco. Per lui è come una illuminazione.
Decide così di compiere un viaggio, a piedi, fino ad Assisi. Durante il viaggio incontra barboni, zingari, carcerati ed emarginati di ogni genere. E questa umanità dolente, lo avvicina a Francesco e ai suoi insegnamenti, e gli fa scoprire l’amore per gli altri: per chi soffre e ha bisogno di aiuto.
Ritorna a Palermo e si ferma alla Stazione dove si raccolgono i cosiddetti barboni. Vive con loro, li aiuta, li lava, mendica per loro un pezzo di pane o un pasto caldo.
Riesce a farsi dare un vecchio vagone abbandonato sui binari, e lo trasforma nella sede della sua comunità di senza tetto e dimora.
Ma i barboni sono sempre di più. Inoltre, a Palermo, in quegli anni, alle vecchie povertà, si aggiungono i nuovi poveri, i migranti giunti dall’Africa, e il vagone non basta più ad accoglierli tutti.
Così, Biagio, occupa un vecchio edificio abbandonato da anni e vi trasferisce i suoi poveri.
Biagio è adesso un uomo il cui corpo è minato dalle sofferenze e dalla malattia. Le sue gambe hanno ceduto sotto il peso degli anni e lo costringono a vivere su una sedia a rotelle, ma la sua comunità è cresciuta ed oggi ospita e nutre più di mille persone, tolte dalla strada, dalla miseria e dall’indifferenza di una società che si è costruita i suoi idoli e ha smarrito i suoi valori.
NOTE DI REGIA:
Agli inizi del ‘900 Hermann Hess scrisse un libro di poche decine di pagine sulla vita di San Francesco. Cosa lo ha spinto? Perché lo ha fatto? Hermann Hess era di formazione luterana e rivolgeva la sua attenzione spirituale verso l’Oriente buddista. Eppure, nessuno, prima di allora, aveva mai scritto pagine tanto belle e sincere sul “poverello d’Assise”, visto come colui che aveva incarnato, più di ogni altro, un ideale di vita in armonia con la natura in grado di parlare “all’anima scontenta” dell’uomo moderno.
Il ‘900 è passato, con le sue guerre, gli stermini, la fame e le immani tragedie, con l’esplorazione della luna e la rivoluzione tecnologica che ha cambiato radicalmente la vita degli uomini. Ma l’anima dell’uomo moderno è ancora “più scontenta”, perché la natura è stata violentata e la spiritualità è stata relegata al mero livello di sussistenza. Per questo, forse, anche la mia anima è scontenta della vita che passa e del tempo che corre veloce, e i sogni, che una volta erano belli, spesso, troppo spesso, si trasformano in incubi.
Qualche anno fa, ho conosciuto Biagio Conte, che a Palermo tutti chiamano Fra Biagio. La sua vita è straordinaria, e merita di essere raccontata, e siccome, purtroppo, non sono uno scrittore, ho pensato di raccontarla in un film.
Non certamente un documentario o una biografia agiografica, ma un film che vuole essere una ricerca nel profondo dell’anima, la sua, quella di Biagio, ma anche la mia di anima, che si è persa, che fatica a ritrovare la strada.
Voglio raccontare la storia di un ragazzo del nostro tempo, che vive la crisi di valori e di significati dovuti alla fine della “civiltà contadina” e all’avvento della “civiltà dei consumi” con la sua urbanizzazione e la sua globalizzazione selvaggia.
Un ragazzo, che diventa uomo, attraverso un percorso di dolore e di sofferenza, ma anche di conoscenza e di apprendimento dei segreti della natura, e della scoperta di una spiritualità che l’hanno portato a dedicare la sua vita ai poveri, agli ultimi, a chi soffre e ha bisogno d’aiuto.
Le vicende della vita di Biagio somigliano molto a quelle della vita di San Francesco, per questo sento il bisogno di raccontarle, con umiltà, in un film che dovrà essere asciutto, essenziale, povero, vero.