Solo per farti sapere che sono viva

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Solo per farti sapere che sono viva

titolo originale:

Solo per farti sapere che sono viva

titolo internazionale:

Just To Let You Know That I’m Alive

sceneggiatura:

fotografia:

montaggio:

produzione:

Zona, Sos Femmes en Détresse

paese:

Italia/Algeria/Repubblica Araba Saharawi Democratica

anno:

2013

durata:

63'

formato:

colore

status:

Pronto (26/09/2013)

premi e festival:

Degja Lachgare è stata prelevata con la forza dalla sua casa, in un pomeriggio del 1980, da quattro poliziotti in borghese. Gettata nel retro di una Land Rover, trasportata da una prigione segreta all’altra, ha passato undici anni della sua giovinezza prigioniera e con gli occhi bendati, nella costante attesa dell’interrogatorio e della tortura. La sua unica colpa: essere sposata con un soldato del Fronte Polisario, il movimento di liberazione del Sahara Occidentale, che allora combatteva una guerra contro il Marocco.
Soukheina Jid Ahloud ha vissuto per dieci anni in una cella angusta. Poco dopo il suo arresto, la figlia minore è morta di stenti perché nessuno poteva prendersi cura di lei. Non aveva ancora compiuto un anno. Leila Dambar, come una moderna Antigone, non può ancora dare sepoltura al cadavere del fratello Said, morto nel dicembre del 2010: la sua famiglia non fa che chiedere al governo marocchino l’autopsia sul corpo del ragazzo, ucciso dalla polizia in circostanze ambigue, ma le autorità non rispondono.
Sparizioni forzate, tortura, prigioni segrete, fosse comuni, nessun processo e nessuna giustizia. Il Sahara Occidentale, il territorio a sud del Marocco dallo status politico ancora indefinito, ha una storia scandita da una cupa sequenza di violazioni dei diritti umani. È considerato l’ultima colonia d’Africa: il referendum per l’indipendenza, nonostante le numerose risoluzioni ONU, è sempre stato rimandato. Dal 1975 i Saharawi vivono per metà in Sahara Occidentale e per metà nei campi di rifugiati in Algeria, separati da un muro di 2,700 km costruito dal Marocco durante la guerra. Solo per farti sapere che sono viva dà voce alle donne saharawi che sono state vittime di violenza, sia in Sahara Occidentale che nei campi di rifugiati.
Ricostruendo attraverso le loro testimonianze, i diari e le vecchie fotografie, la storia del loro popolo da una prospettiva intima e femminile.

NOTE DI REGIA:
Da tempo il nostro lavoro si concentra sulla condizione femminile in diversi luoghi del mondo. Siamo giunte in Sahara Occidentale spinte dalla volontà di indagare sulla popolazione saharawi, quella che ha avviato le cosiddette “primavere arabe” nel 2010 con l’accampamento di protesta di Gdeim Izik. Abbiamo così scoperto che le donne saharawi, nonostante la loro società sia profondamente conservatrice e musulmana, godono di una rara e totale parità di genere, occupano posizioni di prestigio anche nella politica e sono riconosciute dalla loro società come autentiche icone di resistenza pacifica.
Elghalia Djimi, Soukheina Jid Ahloud, Leila Dambar, Degja Lachgare e le altre protagoniste del documentario ci hanno raccontato le loro storie personali di sparizioni forzate, prigionia e tortura. Vicende durissime che compongono la sceneggiatura corale di un conflitto che si trascina dal 1975 e, insieme, il resoconto della vita quotidiana nei territori occupati del Sahara Occidentale.
Mentre gli uomini combattevano contro l’esercito marocchino, dal 1975 al 1991, le loro donne sono rimaste a lottare e a resistere dentro le loro case, prendendosi cura delle proprie famiglie e subendo, in moltissimi casi, prigionie arbitrarie. Il nostro secondo viaggio ci ha portate nei campi di rifugiati in Algeria, dove i saharawi hanno fondato una Repubblica con un Parlamento e un governo, ospedali e scuole: si respira la libertà, in questo che è uno dei deserti più inospitali al mondo, sebbene la popolazione dei 200 mila rifugiati sia del tutto dipendente dagli aiuti umanitari internazionali e le condizioni di vita siano estremamente difficili.
Per comporre questa storia a più voci, abbiamo scelto di utilizzare diversi linguaggi tra cui la fotografia, che è in grado di fissare l’evocazione di ricordi ed emozioni vissuti dalle donne durante la detenzione o l’esilio. Abbiamo chiesto alle nostre protagoniste di scrivere i loro pensieri in un diario, per tracciare una storia collettiva attraverso le emozioni intime degli individui. Abbiamo poi utilizzato video d’archivio della guerra, dell’occupazione marocchina, del campo di Gdeim Izik, oltre alle musiche originali di cantanti saharawi. Questo non è solo un film: è un passo importante del nostro attivismo per i diritti delle donne e del nostro impegno nel porre in luce, attraverso il nostro lavoro, le storie dimenticate di cui il nostro mondo è purtroppo largamente popolato.