Valdagno, Arizona

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Valdagno, Arizona

titolo originale:

Valdagno, Arizona

regia di:

produzione:

paese:

Italia/Stati Uniti

anno:

2011

durata:

80'

formato:

colore

status:

Pronto (25/07/2011)

premi e festival:

E’ il figlio di uno dei più noti industriali italiani, ma Umberto Marzotto all’impresa di famiglia ha preferito la musica. In seguito all’incontro con Fabrizio De André, all’età di 17 anni, Umberto decide di diventare cantautore. Incide un primo disco nel 1987 e partecipa al Festival di Sanremo con il singolo “Conta chi canta”. Ma anche sul palcoscenico dell’Ariston, il suo cognome e la storia della sua famiglia si rivelano troppo ingombranti e finiscono per suscitare aspettative fuori luogo. Lo stesso Pippo Baudo lo presenta al pubblico di Sanremo puntualizzando l’importanza del marchio tessile Marzotto e aggiungendo: “Guarda che conosco tuo padre, mi raccomando eh…”
La carriera del cantautore Umberto Marzotto è quantomeno altalenante. Incide un secondo album a ben otto anni di distanza da quello dell’esordio. Negli intervalli, si agita inquieto in cerca di un approdo esistenziale veramente suo. All’alba dei cinquant’anni, Umberto si risveglia da un sogno che descrive così: “Vedo colori, vedo tutti gli animali con le ali, prendo un treno che porta al mare e poi incontro case, grattacieli, foreste, il deserto. I Navajo e gli Apache sono lontani nel deserto. Quello che fa segno con il braccio di avvicinarmi forse è Geronimo, ma non lo saprò mai…”
Umberto parte senza esitazione per l’Arizona. Vi soggiorna molti mesi e incontra numerosi nativi americani che diventano a poco a poco degli amici ritrovati. Questa esperienza lo porta a scrivere nuove canzoni, in inglese, che raccontano il suo incontro con questo universo. Nell’attesa di registrare questo nuovo album, Umberto decide di chiedere il passaporto per il suo nuovo mondo e per il suo nuovo pubblico eseguendo queste canzoni in un grande concerto a Santa Fe che lo vede dividere il palcoscenico con gli amici di sempre ed i più importanti musicisti nativi americani, tra i quali l’ormai leggendaria Marie Youngblood e la giovanissima e talentuosa Jana Mashonee.
Qui finisce e qui comincia l’avventura.
“Valdagno, Arizona” è un documentario che ripercorre a tutto tondo l’esperienza di Umberto Marzotto. A tutto tondo vuol dire innanzitutto tra sogno e realtà. Da una parte, si racconta la “mitologia indiana” con il suo misticismo, le sue tradizioni, la sua cultura, la sua morale, e tutto il suo fascino esercitato nell’infanzia di tutti noi. Dall’altra parte, si descrive una società pellerossa incredibilmente moderna e ben organizzata, che guarda al futuro senza alcun rimpianto. A dispetto delle apparenze, le due parti di questo mondo sono tutt’altro che divise. I nativi americani stanno costruendo un modello di sviluppo che potremmo definire ecosostenibile, dove le energie rinnovabili sono l’unica via per fornire servizi primari a un territorio come il deserto dell’Arizona e dove la famiglia e il clan sono sempre le strutture sociali fondamentali in grado di generare qualunque forma di emancipazione e di progresso.
“Valdagno, Arizona” è naturalmente anche un viaggio musicale e cinematografico. La musica di Umberto e il cinema western della nostra infanzia. La musica dei nativi americani e il cinema dei ragazzi Navajo che usano il digitale per raccontare la cultura di questo popolo in modo sempre sorprendente e spesso commovente. “Valdagno, Arizona” è un titolo che si può leggere come un’iperbole o come un itinerario, valido in entrambi i sensi di marcia. Umberto Marzotto, e noi con lui, parte da un piccolo paese del Veneto, Valdagno, la “città sociale” costruita di generazione in generazione attorno alle fabbriche del tessile, per arrivare a Leupp, prima autentica “città indiana” costruita nel deserto dell’Arizona sulle ceneri di uno dei tanti campi di concentramento per cittadini americani di origine giapponese (ne furono deportati ben 110.000) creato dal governo statunitense dopo l’attacco a Pearl Harbour.
“Valdagno, Arizona” è un documentario molto singolare e molto ambizioso, che nasce dal sogno di un artista che non riusciva ad esprimersi. Fra le sue molteplici singolarità e ambizioni, ci preme segnalare l’assenza deliberata dell’autore. Chi firma è un collettivo di umane energie rinnovabili che si chiama Pyoor e segna l’esordio di un progetto che intende andare oltre l’egocentrismo diffuso di chi si esprime attraverso il cinema e oltre i confini di un mondo globalizzato che si sta interrogando sempre più spesso su quale potrà essere il suo futuro.